giovedì 4 giugno 2020

#STEP18

Non è un caso raro che la filosofia si sia occupata di impresa e non solo su un versante ideologico (si pensi a quello marxista o analitico del pensiero economico), ma anche in campo teoretico e morale.
Filosofi, esperti di strategia di impresa, teorici della complessità sempre più spesso, oggi, si confrontano sui principi di fondo della creazione di valore, ma soprattutto sulla loro effettiva realizzazione pratica nell'impresa.

Il senso vero di fare impresa
La discussione tra capitale ed etica è stata avviata negli Usa negli anni '70 e le prime conclusioni sono state che l'etica negli affari non poteva esistere perché in antitesi con il profitto.
Oggi secondo il Center for Business Ethics di New York, l'85% delle maggiori imprese è dotato di un codice etico aziendale che definisce i rapporti con gli stakeholders e che indica i criteri generali sull'esercizio dell'autorità. Anche il concetto di valore aggiunto globale inizia ad entrare nel linguaggio economico: l'essenza di un'impresa è far si che il valore aggiunto sia superiore ai costi interni, ma alcuni costi l'impresa li trasferisce all'esterno così come i benefici sociali per cui nel valore aggiunto globale vanno considerati anch'essi.
I principi dell'etica di impresa sono stati illustrati da alcuni professori di Harward i quali hanno affermato che un'impresa può adattarsi all'ambiente solo se risponde ai bisogni delle sue tre clientele principali: clienti, investitori, dipendenti.
Pertanto la legittimazione dell'impresa non dipende più solo dalla risposta del mercato, ma anche da una molteplicità di soggetti che dovranno avere in comune una base di principi morali quali integrità, appartenenza, fiducia e responsabilità.
Nel mondo dell'impresa si sta affermando il principio che l'etica paga, non esiste cioè dissidio tra etica e profitto, anzi oggi la prima configurata il necessario presupposto per il secondo.
Adam Smith, uno dei massimi fondatori del pensiero economico moderno era titolare della cattedra di filosofia morale ad Glasgow. Porta avanti la sua dottrina liberistica sia nel quadro di un obiettivo ritenuto moralmente e socialmente positivo, quale l'aumento del benessere nazionale, sia di un sistema di valori specifico.
Milton Friedman, sostenitore della più radicale deregolamentazione dell'economia, afferma che dovere sociale del management aziendale è sì fare profitti, ma senza inganno e frode e, ancor più, nel quadro del rispetto della legge e dei valori etici correnti.
Un filosofo nord americano, Gautier, parla di una ipotetica "free-zone" dell'azione economica libera da ogni altra motivazione che non sia quella dell'azione di mercato, ma ispirandosi ad Hobbes, precisa che questo stato ideale "fuori dalla morale" funziona solo se si sottoscrive prima un patto sociale implicito che è conveniente per tutti.

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